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Louvre

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Milone di Crotone

Pierre PUGET, 1682.

Milone fu un atleta greco più volte vincitore ai Giochi Olimpici e Pitici. Con l'arrivo della vecchiaia, Milone voleva mettere ancora una volta alla prova il suo vigore spezzando un tronco di un albero di ulivo dal tronco cavo, sacro alla dea Hera. La sua mano però rimase intrappolata in una fessura e l'eroe fu divorato dai lupi. Puget li sostituisce con un leone, un animale più nobile, e crea una composizione di grande forza barocca: il corpo si contorce dal dolore in un'espressione e un atteggiamento molto teatrali, tipici dello stile barocco.

Il tema, finora sconosciuto nella scultura, non è solo una meditazione sulla Forza conquistata dal Tempo, ma anche una metafora dell'orgoglio umano sconfitto: Milone è soprattutto vinto dalla sua vanità, rifiutando la debolezza della vecchiaia. Il suo dolore è morale oltre che fisico. La gloria umana è effimera e temporale, come simboleggiato dalla coppa conquistata ai Giochi, che si trova sul terreno.
La scelta di un soggetto del genere per un'opera destinata al re è piuttosto strana. Puget realizzò opere di grande audacia, come il bassorilievo Alessandro e Diogene, anche questi al Louvre.

Anche se realizza tutte le parti della scultura con uguale virtuosismo, Puget favorisce la visione frontale: il lavoro è affrontato da davanti o a tre quarti. Il corpo di Milone contorto per il dolore è come un immenso zigzag: tre diagonali di dimensioni decrescenti si incastrano e culminano con la testa rovesciata e la bocca aperta in un pianto straziante.

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Tips

Il corpo è inarcato contro il tronco dell'albero, l'asse attorno al quale ruota la composizione. Al centro, la scultura è come trafitta da due grandi aperture che liberano la silhouette dell'atleta: questa rientranza della base, rara nella scultura, è un'impresa tecnica di grande virtuosismo.

Puget ha certamente in mente il Laocoonte ellenistico, una scultura delle collezioni pontificie, che costituiva per gli artisti l'esempio più alto del dolore eroico. Il sommo sacerdote troiano, anche in questo caso un anziano, morì stoicamente, soffocato da un serpente marino inviato dagli dei. Tuttavia Puget crea un'opera moderno. Non idealizza la rappresentazione dell'eroe e sostituisce all'antica sofferenza stoica l'espressione di dolore acuto e travolgente. Il corpo è inarcato dal dolore, la faccia non è altro che una smorfia, le dita dei piedi contratti graffiano il terreno.
Quando la scultura fu svelata a Versailles nel 1683, la regina Maria Teresa avrebbe esclamato: "pover'uomo!" La bellezza dello scalpello di Puget ci fa dimenticare il marmo: gli artigli del leone sembrano affondare nella carne. I muscoli si stringono, le vene si profilano, la superficie ci da' la sensazione della carne tremante.

Lo scultore contrasta l'estrema lucentezza del corpo con il trattamento più brutale degli altri elementi: il mantello viene strappato dagli artigli del leone, il tronco e il terreno sono striati e ruvidi. L'artista distingue così i tre protagonisti della storia grazie al trattamento della superficie: l'uomo, la bestia e la natura.